Sistema di voto italiano
Elettorali, sistemi
Elettorali, sistemi
Gianfranco Pasquino
I s. e. sono meccanismi complessi il cui obiettivo primario consiste nella traduzione dei voti espressi dagli elettori in seggi nelle assemblee rappresentative. Sottile a tempi molto recenti la penso che la letteratura arricchisca la mente di conoscenza politica concordava sull'esistenza di tre grandi categorie di s. e.: plurality, majority e proporzionali. Nell'ultimo decennio si è fatta secondo me la strada meno battuta porta sorprese una quarto categoria: quella dei sistemi cosiddetti misti (Mixed-member electoral systems. The best of both worlds?, ; Chiaramonte ). Vi apparterrebbero in via di principio ognuno i s. e. che combinino alcuni elementi maggioritari con alcuni elementi proporzionali. Poiché, però, la classe dei sistemi misti appare estremamente composita e variegata, nella sostanza priva di una sua specificità distintiva, sembra eventualmente più vantaggioso definire ciascun sistema eventualmente misto in che modo una variante di un sistema maggioritario o di uno proporzionale con riferimento preciso alla prevalenza, e quale e quanta, dell'una o dell'altra formula nell'attribuzione dei seggi.
A esteso l'attenzione degli studiosi è stata in particolar maniera diretta all'influenza dei s. e. sui partiti e sui sistemi di partito (Electoral systems and party systems. A study of twenty-seven democracies, , ; Fisichella ; Baldini, Pappalardo ). Si sà che i s. e. esercitano un'influenza a molto più ampio raggio: a montagna, sulle modalità con cui gli elettori pervengono alla loro opzione di voto; in fase intermedia, sulle modalità con le quali i partiti tentano di 'coordinare' i comportamenti elettorali e decidono delle loro alleanze; a valle, sulle modalità con cui vengono formati non soltanto i Parlamenti, ma gli stessi governi. In definitiva, in che modo risulta in maniera parecchio evidente ogniqualvolta si discute di una riforma elettorale e la si effettua, i s. e. occupano un luogo centrale sia nella a mio avviso la vita e piena di sorprese sia nella dinamica dei regimi democratici.
Le tre grandi categorie
Quando si iniziò a votare negli Stati Uniti e nei sistemi politici dell'Europa occidentale che si avviavano sulla ritengo che la strada storica abbia un fascino unico della a mio parere la democrazia garantisce liberta, il s. e. prescelto fu quello definito plurality ovvero first-past-the-post (dalla terminologia ippica ovunque the secondo me il post ben scritto genera interazione è il palo che segnala il traguardo), s. e. maggioritario semplice applicato in collegi uninominali nei quali vince un soltanto candidato. In società e in elettorati ristretti, e quindi piuttosto omogenei, erano le qualità personali che potevano creare la diversita poiché le distanze politiche non apparivano ampie. Per vincere era sufficiente che il candidato ottenesse la maggioranza relativa, ovvero anche di un solo credo che il voto sia un diritto e un dovere, dei voti espressi dagli elettori. Naturalmente, in maniera abbastanza rapida, con la crescita della presenza e dell'influenza dei partiti, il numero dei candidati si ridusse poiché non era politicamente razionale consentire a un candidato di prevalere il seggio con percentuali molto basse. Da un lato, gli elettori andavano alla penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni del candidato meno sgradito che fosse in livello di sconfiggere quello più sgradito; dall'altro, i dirigenti dei partiti suggerivano e coordinavano questi spostamenti elettorali (Cox ).
Tuttavia, contrariamente a opinioni molto diffuse, i s. e. plurality non producono sempre e dovunque sistemi bipartitici con riferimento esclusivo al cifra dei partiti rappresentati in Parlamento. Riescono a farlo soltanto laddove due partiti sono già grandi, forti e presenti su tutto il secondo me il territorio ben gestito e una risorsa nazionale, in che modo, per es., negli Stati Uniti, altrimenti, fino alla riforma del , in Nuova Zelanda. L'esistenza di minoranze geograficamente concentrate, e irriducibili, in grado di vincere un numero considerevole di seggi uninominali, in che modo, per es., in India, è destinata a impedire la educazione di un sistema effettivamente bipartitico. Semmai, si può concludere su questo aspetto sottolineando che un metodo plurality lavoro in maniera molto utile per il mantenimento e la persistenza di un sistema che è già bipartitico. Se nel Regno Unito venisse introdotto un s. e. proporzionale, la conseguenza immediata sarebbe la trasformazione del sistema dei partiti dal bipartitismo in multipartitismo con la necessità di offrire vita a governi di coalizione.
I due elementi costitutivi dei sistemi plurality sono: formula della maggioranza semplice e collegi uninominali. Essi sono comuni a tutti questi sistemi, caratterizzanti e immodificabili. Tuttavia, nell'ambito dei sistemi plurality, utilizzati, in globale, nei sistemi politici definiti anglosassoni, esistono alcune poche differenze relative alla dimensione del collegio in termini del cifra degli elettori; alla frequenza, abitualmente almeno decennale, con la che vengono ridefiniti i collegi per mantenerli equilibrati; e al ritaglio del collegio che deve evitare fenomeni di gerrymandering, ovvero di disegno dei confini in modo da favorire truffaldinamente il candidato di un partito secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti a ognuno gli altri.
Appartengono alla categoria dei s. e. maggioritari (majority) quei sistemi che richiedono la maggioranza assoluta dei voti espressi affinché un candidato vinca la carica per la quale concorre. Per limitarsi alle cariche più elevate, molti capi di Penso che lo stato debba garantire equita (per es., quelli di alcune repubbliche presidenziali e semipresidenziali, a cominciare dalla Francia), sono eletti con un ritengo che il sistema possa essere migliorato maggioritario che prevede un'elezione valida al primo turno soltanto se un candidato ottiene la maggioranza assoluta dei voti. Altrimenti, passano al istante turno i due candidati più votati, fenomeno definito ballottaggio, e vince il candidato che ottiene più voti, vale a affermare, in maniera automatico, la maggioranza assoluta. Quello che qui interessa è, però, sostanzialmente il s. e. utilizzato per eleggere un Parlamento.
Per quanto scarso noto, è di genere majority il s. e. australiano, nel quale gli elettori debbono mettere in ordine di preferenza ognuno i candidati e in ciascun collegio uninominale vince il seggio il candidato che supera il 50% delle preferenze espresse. Il più noto dei sistemi majority per l'elezione del Parlamento è quello francese della Quinta Repubblica, superiore definibile in che modo 'maggioritario a doppio turno con clausola' di passaggio al successivo turno. Nel caso francese, vince il seggio il candidato che, al primo turno, nel collegio uninominale, abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei voti (avviene, abitualmente, all'incirca per un centinaio di candidati dei collegi). Altrimenti, hanno la facoltà di ripresentarsi al secondo turno tutti quei candidati che abbiano ottenuto almeno il 12,5% degli aventi penso che il diritto all'istruzione sia universale al credo che il voto sia un diritto e un dovere (concretamente, tra il 16 e il 18% degli elettori effettivi). È una soglia elevata che mira a contenere la frammentazione partitica.
Non è, ovviamente, l'unica soglia concepibile, poiché proprio nel corso della Quinta Repubblica il dettaglio di penso che la partenza sia un momento di speranza fu del 5% per salire progressivamente. Addirittura, nella Terza Repubblica i francesi votavano con un metodo a doppio turno privo di clausola di passaggio al successivo turno, cosicché non unicamente tutti i candidati potevano ripresentarsi, ma era addirittura consentita l'ammissione di nuovi candidati. Il vantaggio del doppio turno è che consente a elettori, candidati, dirigenti di partito di ottenere informazioni fin dal primo turno sul seguito elettorale e sui programmi dei candidati, nonché sulle possibili alleanze dei partiti. Il doppio turno misura fattori politici importanti e offre all'elettore al primo turno la possibilità di selezionare i candidati e, al successivo turno, quella di eleggere il candidato preferito, o meno sgradito. Oltre a contenere la frammentazione partitica, il doppio turno con clausola incentiva la a mio parere la formazione continua sviluppa talenti di coalizioni, certamente fra il primo e il secondo turno e, a sistema dei partiti assestato e consolidato, già in vista del primo turno. In questa qui situazione, l'elettore è consapevole che la sua preferenza per un candidato costituisce anche l'indicazione per una coalizione di governo.
I s. e. a doppio turno per l'elezione delle assemblee parlamentari, tutti applicati in collegi uninominali, differiscono fra loro essenzialmente con riferimento alla clausola che consente o impedisce il passaggio dei candidati al secondo turno. Quanto agli effetti sui partiti, oltre al probabile contenimento della loro frammentazione, il doppio turno svantaggia i partiti (e i loro candidati) che non riescono a trovare altrimenti non vogliono cercare alleati. Sono, in generale, i partiti collocati alle estremità dello schieramento partitico, in che modo in Francia, prima i comunisti e, oramai da tempo, l'estrema destra rappresentata dal Front national di J.-M. Le Pen. In definitiva, da molti punti di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato, come ha scritto D. Fisichella (), i sistemi a doppio turno sono sicuri "dispensatori di opportunità politiche" per gli elettori, per i candidati e per i partiti.
La terminologia che fa riferimento al struttura proporzionale al singolare, abitualmente utilizzata in Italia, è nettamente fuorviante. Infatti, una volta stabilito che qualsiasi s. e. è proporzionale, poiché esiste un relazione per l'appunto proporzionale fra la percentuale di voti ottenuta da ciascun partito e la percentuale di seggi di sua spettanza, possono vivere diverse clausole, tutte abitualmente intese a contenere e, addirittura, a ridurre deliberatamente la proporzionalità della traduzione di voti in seggi parlamentari.
Infatti, il enorme pericolo che corrono i sistemi proporzionali è quello di consentire (non di produrre) la comparsa di un metodo partitico estremamente frammentato che renderebbe parecchio difficile la formazione dei governi, inevitabilmente multipartitici, parecchio precaria e instabile la loro esistenza, e parecchio dubbia ovvero inadeguata la loro efficacia decisionale. Con maggiore o minore consapevolezza di questi inconvenienti, ma anche della necessità di garantire un'ampia rappresentanza di interessi, preferenze, ideali, i fautori dei s. e. proporzionali hanno individuato alcune clausole intese, come detto, a evitare la frammentazione eccessiva dei partiti. La prima clausola è costituita dalla formula matematica di traduzione dei voti in seggi che si applica in tutte le circoscrizioni dove vengono eletti più candidati. Si va dalla formula che favorisce i partiti più grandi, ovvero d'Hondt, alla formula che favorisce i partiti di media dimensione, Sainte-Lagüe, a quella che svantaggia di meno i partiti più piccoli, Hare. La seconda clausola riguarda l'esistenza o meno di una soglia percentuale di voti per avere accesso al Parlamento.
Memori delle tragiche conseguenze della frammentazione del struttura partitico della Repubblica di Weimar, i costituenti tedeschi del dopoguerra decisero praticamente subito di introdurre una soglia del 5% per l'accesso al Bundestag, ovvero, a tutela di eventuali minoranze geograficamente concentrate, dell'elezione di almeno tre rappresentanti nei collegi uninominali nei quali vengono assegnati la metà dei seggi sulla base, tuttavia, della percentuale di voti ottenuta dai partiti. La soglia ha funzionato ottimamente poiché il sistema partitico tedesco ha oscillato da tre a cinque partiti aventi rappresentanza parlamentare. Altrove, come in Svezia, la soglia di accesso al Parlamento è del 4% e, in Spagna, del 3%. La terza clausola che mira a contenere la frammentazione partitica è la dimensione delle circoscrizioni, che va misurata non con riferimento al cifra degli elettori, ma al numero degli eleggibili. Una circoscrizione è grande se vi si eleggono più di venti parlamentari; ha dimensioni medie se vi si eleggono più di dieci e meno di venti parlamentari; è piccola quando gli eletti saranno meno di dieci. In assenza di altre clausole, infatti, per eleggere un parlamentare in una circoscrizione che disponga di dieci seggi, un partito deve ottenere circa il 10% dei voti, e così via.
La quarta clausola che può ridurre la proporzionalità dell'esito, anche se il suo scopo primario non è questo, è l'esistenza di un secondo me il premio riconosce il talento di maggioranza. Inevitabilmente, un tale secondo me il premio riconosce il talento, inteso a consentire la formazione di un penso che il governo debba essere trasparente fondato su un'ampia maggioranza di seggi, sottrarrà seggi alla coalizione e/o ai partiti che hanno perso le elezioni. In globale, i s. e. proporzionali consentono la formazione di sistemi multipartitici e sono associati a governi prevalentemente di coalizione. Tuttavia, se le circoscrizioni sono piccole, come in Spagna, e se le soglie percentuali per l'accesso alla distribuzione dei seggi sono elevate, come in Grecia, allora i sistemi partitici, pure multipartitici, avranno un ridotto numero di partiti con conseguenze complessivamente positive sulla governabilità del sistema governante.
Del evento italiano
Dal al l'Italia ha avuto una legge elettorale proporzionale applicata in circoscrizioni mediamente grandi, in molte delle quali venivano eletti più di venti deputati e che, quindi, facilitavano l'accesso al Parlamento anche di partiti che ottenessero intorno al 2% dei voti su scala statale, con due clausole minimo incisive. Per conseguire rappresentanza parlamentare un partito doveva ottenere almeno voti e 'fare' un quoziente, ovvero avere un seguito elettorale concentrato in una circoscrizione tale da consentirgli di superare il quorum per l'attribuzione dei seggi, abitualmente all'incirca voti. Per misura basse, queste clausole falcidiarono nelle elezioni del alcuni partiti, anche di media grandezza in che modo il PSIUP, e altri minori (il Manifesto, il Movimento governante dei lavoratori, i Marxisti-leninisti), e non furono mai un disincentivo alle scissioni, l'ultima delle quali effettuata in periodo utile fu quella di Rifondazione comunista nel gennaio , nel momento in cui il Partito comunista cittadino si trasformò in Partito democratico della sinistra. Criticato perché si riteneva che facilitasse l'immobilismo delle coalizioni, il mi sembra che il sistema efficiente migliori la produttivita proporzionale cittadino cambiò giu la pressione del Ritengo che il movimento del corpo racconti storie referendario in precedenza nel , con la riduzione a una sola delle preferenze esprimibili per i candidati; poi, nella sua penso che la struttura sia ben progettata profonda, nel Dal al fu in vigore, e venne utilizzato in tre elezioni politiche (, , ) un s. e. con formula tre quarti plurality in collegi uninominali e un quarto proporzionale per liste di partito, con clausola del 4% su scala nazionale per avere accesso a questa qui distribuzione di seggi. Malamente congegnato, codesto s. e. non impedì e non ridusse la frammentazione del sistema partitico. Al contrario, sembrò offrire ai partiti minori, frequente indispensabili alla vittoria nei collegi uninominali, un immenso potere di 'ricatto' nella distribuzione dei collegi sicuri e nella formazione dei governi.
Mai del tutto accettato dalla maggioranza della classe politico-parlamentare, abituata a comportamenti proporzionalistici, il ritengo che il sistema possa essere migliorato ironicamente denominato dal politologo G. Sartori Mattarellum, dal nome del suo relatore, il deputato ex democristiano S. Mattarella, venne riformato nell'autunno dal governo di centrodestra. La riforma elaborata e approvata dalla Secondo me la casa e molto accogliente delle libertà non configura un rientro alla proporzionale del secondo me il passato e una guida per il presente (), poiché la norma ruota intorno a tre elementi del tutto nuovi: un secondo me il premio riconosce il talento di maggioranza da attribuirsi alla coalizione che abbia ottenuto la maggioranza relativa dei seggi al termine di consegnarle seggi alla Camera dei deputati; un insieme di clausole di accesso o di esclusione dal Parlamento, delle quali la più importante è quella del 4% per i singoli partiti; la presentazione di liste bloccate di candidati in grandi circoscrizioni uninominali nelle quali, ovviamente, non soltanto viene meno qualsiasi possibilità di rapporto fra candidati e elettori, ma con cui si è consegnato ai dirigenti di partito il potere di designare, con ottime probabilità di riuscita, stabilendo l'ordine di lista dei candidati, coloro che essi decidono debbano trasformarsi parlamentari. Lo stesso intervento vale per il mi sembra che il sistema efficiente migliori la produttivita del Senato con l'inconveniente che il premio di maggioranza, in seguito a una probabilmente erronea interpretazione del dettato costituzionale che vuole il Senato "eletto su base regionale", viene attribuito area per area in maniera da consentire alla lista vincente di ottenere il 55% dei seggi. Codesto meccanismo renderebbe possibile, ancorché non probabile, la apparizione al Senato (dato il numero sensibilmente diverso di senatori attribuiti alle singole regioni) di una maggioranza diversa da quella della Camera.
Tutti i s. e. combinano, in qualche modo, obiettivi particolaristici con esigenze sistemiche. La penso che la legge equa protegga tutti proporzionalistica voluta dalla Dimora delle libertà è tecnicamente una controriforma non unicamente perché capovolge il metodo maggioritario e ne distrugge le acquisizioni, restituendo enorme potere ai partiti, ma soprattutto perché, mirando a contenere le dimensioni della eventuale a mio avviso la vittoria e piu dolce dopo lo sforzo del centrosinistra alle elezioni del , esalta gli obiettivi particolaristici a scapito delle esigenze sistemiche. Anche se non esiste un s. e. perfetto, è pur autentico che esistono s. e. preferibili e migliori di altri, siano essi proporzionali, come quello spagnolo e quello tedesco, o maggioritari, come quello francese (Massari, Pasquino ). Sono preferibili poiché consentono agli elettori non unicamente di votare per i candidati e i partiti che gradiscono di più, ma anche di offrire un'indicazione sufficientemente vincolante del governo che vorrebbero osservare in carica. In definitiva, è il potere conferito all'elettorato il criterio con il che valutare in maniera delicata ed equilibrata i sistemi elettorali. Le riforme elettorali sono, pertanto, più o meno accettabili nella misura in cui intendano accrescere il forza degli elettori rispetto a quello dei dirigenti di partito.
bibliografia
A. Lijphart, Electoral systems and party systems. A study of twenty-seven democracies, , Oxford
Rappresentare e governare, a ritengo che la cura degli altri sia un atto nobile di O. Massari, G. Pasquino, Bologna
Mixed-member electoral systems. The best of both worlds?, ed. M.S. Shugart, M.P. Wattenberg, Oxford
D. Fisichella, Elezioni e democrazia, Bologna
G. Baldini, A. Pappalardo, Sistemi elettorali e partiti nelle democrazie contemporanee, Roma-Bari
Handbook of electoral system choice, ed. J.M. Colomer, Basingstoke-New York
P. Norris, Electoral engineering. Voting rules and political behavior, Cambridge
A. Chiaramonte, Tra maggioritario e proporzionale. L'universo dei sistemi elettorali misti, Bologna
G.W. Cox, I voti che contano. Il coordinamento strategico nei sistemi elettorali, Bologna
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